Torniamo a Parigi, una città dove non si ha paura di niente, neanche dell’intelligenza artificiale
Neppure Van Gogh temeva alcunché. A Parigi arriverà anche, dall’altra parte del mondo, il 79enne Peter Weir, un autore che ha portato molto in alto il giovane cinema australiano. C’è poi un compleanno importante: i 60 anni del Dottor Stranamore, l’opera più ironica e sottile, nella sua crudezza, di Stanley Kubrick. Solo lui riusciva a fare certi film, film che restano e parlano a tutte le generazioni.
Selfie di e con Van Gogh
In appena 4 anni, dal 1885 al 1889, Van Gogh ha dipinto una quarantina di autoritratti, sorta di selfie di un diario visuale. Con questa ossessione di dipingersi e ridipingersi sperimentava nuove tecniche pittoriche e figurative. Probabilmente sarebbe approdato all’astratto se non fosse accaduto quel che è accaduto. Se non fosse caduto nella stessa sorte vi sarebbe arrivato anche il Rosso Fiorentino quattro secoli prima. Ho conosciuto una persona che aveva collezionato tutti gli autoritratti di Vincent. Naturalmente riproduzioni, perché per avere gli originali occorrerebbe un investimento prossimo ai 4 miliardi di dollari. Nel 1998, un quarto di secolo fa, un suo autoritratto senza barba del 1889 è stato battuto da Christie’s per 71 milioni e mezzo di dollari (110 milioni in valori attuali). Base d’asta 14 milioni. Immaginate i rialzi. E pensare che il tormentato pittore è morto in completa povertà avendo venduto solo un quadro. A sostenerlo era il fratello Theo. Oggi succede che le mostre dei lavori di Van Gogh stanno frantumando tutti i record di affluenza. A Shanghai sono andati in 500 mila per vedere una mostra organizzata dalla National Gallery di Londra. “Van Gogh à Auvers-sur-Oise: Les derniers mois” al Museo d’Orsay a Parigi, chiusa da pochi giorni, ha visto 800mila visitatori fare la coda e assieparsi davanti ai dipinti del maestro olandese. Secondo “Le Monde” nessuna mostra precedente ha raggiunto quel numero di visitatori. Non c’era neppure lo spazio per scattarsi un selfie. E alcuni vanno proprio per quello. Chi può immaginare quanta gente si riverserà nelle sale della National Gallery di Londra per “Van Gogh: Poets and Lovers” che aprirà il prossimo 14 settembre e che si annuncia massiva. Van Gogh è veramente tra noi.
Al Museo d’Orsay con gli Apple Visio
E lo è davvero tra noi! Sarà stato problematico scattarsi un selfie con Van Gogh al Museo d’Orsay, però si poteva scambiare due parole con Vincent. Non proprio con Lui, ma con il suo sosia di intelligenza artificiale. Il museo dell’ex stazione ferroviaria è una spanna sopra agli altri nell’uso della tecnologia nelle mostre d’arte. Insegue il Metropolitan di New York. Dal 26 marzo all’11 agosto, nell’ambito della mostra “Les impressionnistes”, alle otto di sera sarà possibile inforcare gli Apple Vision Pro e viaggiare nel tempo in un allestimento denominato “Un soir avec les impressionnistes. Paris 1874”. Si potrà così prendere parte attiva alla serata del 1874 nella quale gli impressionisti presentarono le loro opere nello studio del fotografo Nadar al numero 35 di Boulevard des Capucines. Tutto messo su dal team del Museo, quindi niente fregnacce o allucinazioni, tutta roba accaduta e ricostruita con accuratezza. Una stupenda e veritiera lezione di storia dell’arte. Torniamo però al sosia che ha stazionato al Museo d’Orsay. “Bonjour Vincent” è un’app di AI allenata con le 900 lettere scritte dall’artista e con le prime biografie. Ai visitatori il compito e il piacere di interrogarlo con domande, anche delicate. Il quesito più popolare è stato: “Perché ti sei ucciso?”. L’algoritmo è stato aggiustato per dare delle risposte “soft” e “gentili” a domande come quella del suicidio. Leggo che una sua risposta è stata “Non ho visto nessun altro modo per trovare la pace”. Leggo che ha dato anche altre motivazioni, ma tutte con la stessa matrice compassionevole. Ed è l’AI che tutti vogliamo! Sviluppare l’algoritmo di Van Gogh è costato un anno di lavoro. il principio guida è stato quello di offrire un saggio del “vero Van Gogh” e non un suo surrogato commerciale o un souvenir tecnologico. Jumbo Mana, la start-up che ha sviluppato l’algoritmo, intende portare “Bonjour Vincent” su Alexa. Sta lavorando anche a un progetto su Arthur Rimbaud, un altro artista piuttosto radicale. Anche noi li abbiamo, Ligabue, Dino Campana… L’opera preferita dal sosia di Van Gogh? La notte stellata. È anche la mia.
I 60 anni del Dottor Stranamore e gli Oscar di Oppenheimer
Chi avrebbe pensato che si sarebbero riaffacciati i cavalieri della Bomba a 60 anni dal Dottor Stranamore (Apple TV noleggio) e a 64 da Hiroshima Mon Amour (DVD in una bella edizione restaurata dalla Cineteca di Bologna). Ho visto recentemente il film di Kubrik del 1964. A colpirmi è stata la stessa cosa che mi spaventò quando lo vidi poco più che adolescente: l’ordigno fine di mondo che Oppenheimer chiama “reazione a catena”. Parlo della teoria atomica dei russi esposta, nella sala operativa del Pentagono, dall’ambasciatore a Washington Alexi de Sadesky dopo aver sentito al telefono il Presidente sovietico Dimitri Kissov. Non disponendo della tecnologia e delle risorse necessario, appannaggio invece dell’Occidente, e schiacciati dal costo della corsa agli armamenti, i russi avevano collegato tutte le loro bombe in un ordigno fine di mondo. Una sorta di macchina dell’apocalisse che si attivava automaticamente in caso di attacco nucleare. Un’idea che riscalda le viscere del Dottor Stranamore, lo scienziato consulente del Presidente, che il realtà si chiama Merkwürdigliebe. Da una parte ci sono i russi, dall’altra gli idioti della geopolitica e del complesso industriale-militare che bevono acqua piovana allungata con alcol etilico per tenere sani i fluidi corporei. E così siamo in una mouse trap. Meno male che c’è l’inglese della RAF (leggi europeo) che appunto si chiama Mandrake. Le simpatie del newyorkese Kubrick sono sempre andate agli europei piuttosto che ai suoi compaesani. Verosimile, e troppo verosimile anche un’altra famosa scena, nella quale ritrovo qualcosa dell’odierno. Mi riferisco al gesto di Stranamore. Lo squinternato deve abbassare, con una presa decisa dell’altro, il braccio che gli si alza spontaneamente per un Hitlergruß, un tributo che per lui è salvifico. Un film dunque attualissimo, modulato sulla parodia, il paradosso e il burlesco. Sì perché per certe cose non ci rimane che quello, altrimenti Non ci resta che piangere (Netflix, Infinity TV). E Kubrick ha dato anche lo spunto a Nolan per la chiusa di Oppenheimer, che non era facile da sigillare. E il film vincerà quei quattro Oscar che sono stati negati a Il Dottor Stranamore.
Peter Weir al Festival della Cinémathèque Français
Dal 13 al 17 marzo si svolgerà l’11mo Festival della Cinémathèque Française, più prestigiosa del cinema mondiale. Si terrà nella stupefacente sede all’interno del suggestivo scenario del parco di Bercy a Parigi sulla riva destra della Senna. Al di là del fiume, attraversatile con una passerella pedonale, c’è la Bibliothèque Nationale de France a forma di libro aperto. In verità non un granché come edificio, ma dentro… Ospite d’onore di questa edizione del festival sarà il regista australiano Peter Weir. Il 79nne regista interverrà all’evento dopo avere percorso i 17mila chilometri, che separano Sidney da Parigi, a bordo di un Airbus A380 della compagnia australiana Qantas. Qantas è l’unica compagnia al mondo che non ha mai avuto un incidente con perdite di vita umane. A ricordacelo è anche Ray (Dustin Hoffman) in Rain Man (a noleggio sulle principali piattaforme).
Qui il programma del Festival. Sotto il calendario delle proiezioni dei film di Peter Weir.
Buon viaggio! Noi dobbiamo farne solo mille di chilometri.