Un libro che Daniele Olschki ha ritenuto meritevole dell’inserimento nella sua prestigiosa collana “Biblioteca dell’Archivum Romanicum”, è un saggio che accende una nuova luce sui passaggi di letteratura e di arte del Futurismo in Sicilia, ma anche inevitabilmente sulla condizione culturale e sociale dell’Isola negli anni intorno alla Grande Guerra.
La ricchezza culturale della Sicilia si conferma ancora una volta imponente, variegata, intensa e vale a giustificare lo sforzo che la Fondazione “Cesare e Doris Zipelli”, fin dalla sua istituzione, sta provando a fare nella consapevolezza che l’impegno nella Cultura e nell’Arte può rappresentare per il Paese e per il Mezzogiorno una occasione concreta di sviluppo economico e sociale.
Ma perchè questo libro?
Questo volume di Andrea G.G. Parasiliti è, nella sua prima parte, uno studio sul Futurismo in Sicilia che si focalizza in particolare modo su due riviste futuriste siciliane: «La Balza Futurista», la «prima rivista veramente futurista» a detta di Marinetti, stampata sorprendentemente a Ragusa nel 1915; «Haschisch», la rivista del futurfiumanesimo siciliano, fondata a Catania nel 1921, all’indomani del Natale di Sangue, quel Natale del 1920 durante il quale l’esperienza fiumana – un “Sessantotto ante litteram”, come ci insegna Claudia Salaris – venne repressa nel sangue dal governo Giolitti. Nella sua seconda parte, questo volume sposta il proprio fuoco sulla Sicilia del Futurismo, vale a dire sulla Sicilia di Marinetti. La Sicilia di Marinetti è fatta essenzialmente di un elemento, il più congeniale al suo temperamento, vale a dire il Vulcano: l’Etna. A un primo acchito, questa angolatura può sembrare un po’ bizzarra. Ci fu, infatti, per esempio, chi vide nell’amore di Marinetti per l’Etna, «una passione poco futurista», come un «cortocircuito della letteratura».
Perché il vulcano? È questa la domanda che ci siamo posti e alla quale abbiamo cercato di dare risposta.
E’ stato di fondamentale importanza il materiale trovato a Parigi presso la Bibliothèque nationale de France; presso la “Collezione e il fondo digitale” dell’Università di Torino; e soprattutto, presso il “Fondo Marinetti” della Beinecke Rare Book & Manuscript Library.
UNA PREMESSA SUL FUTURISMO IN SICILIA
Basterebbe visitare la biblioteca di Verga a Catania per farsi un’idea della quantità di volumi futuristi conservati fra gli scaffali dello scrittore siciliano, molti dei quali inviati con dedica dai futuristi di tutta Italia (e si pensi almeno a Marinetti e a Paolo Buzzi). Ma forse, al momento, è ancora più eloquente il discorso su Giovanni Verga tenuto l’11 ottobre 1939 ad Acitrezza da Marinetti, dove il Fondatore del Futurismo vede nella Cavalleria rusticana «il sicuro preannunzio del prossimo romanzo sintetico che noi aeropoeti futuristi prepariamo», giacché nello stile di Verga «le così dette sgrammaticature e le così dette offese alla sintassi sono sacrosante esplosioni di genialità insofferente di punti virgole chiusure lacci valvole muretti e fili a piombo altrettante minaccie [sic] di soffocazione per il genio ispirato» a tal punto da manifestare nei suoi romanzi e nelle sue novelle.
Una stupenda volontà di scelta e di trasfigurazione a gran colpi
d’ardore e intensità non verista né naturalista perché più
forte del vero e della natura
Non romantico perché incessantemente preso dall’attimo
Piuttosto futurista ciò che vuol dire focoso creatore originale rivolto
al futuro
Il vulcano in questione a cui allude Marinetti, vulcano del quale ci indica un’altezza approssimativa di 3000 metri, è quasi certamente l’Etna, suo padre. Ma leggendo questo brano appare evidente che qualcosa nella percezione di Marinetti nei confronti del Vulcano sia cambiata nel tempo:
L’afa opprimente di sapore acqueo e antichissimi vani sudori accidiosi e appiccicaticci mi consiglia di salire in cerca di un frizzante saluto che mi possa venire da un’idea da una nuvola o da una stella ma subito il sentiero mi denuncia un declivio di pelle umana soffice epidermide di un alto vulcano uso a solleticare i piedi e anche le mani se incespicando fra villosità spigoli ossuti e umidità si cade.
Per non cadere conto i 3000 metri di sassi calcarei graniti e basalti predestinati a fungere di manette poliziesche per le insubordinate albagie di questo muscolo montano o di quell’altro ossame che ostenta spallate sprezzanti.
Per quanto vi siano tentativi di neve a bendare di spiritualità pupille a tuorlo d’uovo azzurro degli ultimi ruscelli ginestre e felci salgo in una sempre più densa animaleria di curve creste bicipiti polpacci scapole colli allungati e bronchiali polmoni tozzi da togliere ogni dubbio.
Il vulcano è tanto superbamente bestiale da partorire un villaggio formato di tane o matrici geometriche a orli levigati e ne scivolano fuori lentissime foche e un lungo cavernoso ruggito di catarri e criniere di zolfo pietre pomici sterpi carbonizzati e ne gongola sotto una gola nel suo sottogola di echi lugubri.
Una scarlatta fumante zampata di lava parabolicamente schiaccia la sanguinante schiena di un cavallo all’agonia con lingua e polmoni a formare un ruscello d’oro vecchio.
Con un rigurgitante lezzo di urine ammoniacali zampano groppe feline tentando con unghie impaurite di abbrancare e sbadigliano mascellaccie con denti lunghi come pugnali.
Ma l’ancor più unghiuto fosforoso e fiatante nero vulcano leonino e crinierato di odori dolciastri e more asprigne non ammette discussione sul cavallo squartato e da mangiare interamente dopo un antipasto di esploratori nordici incauti con una frutta di due scugnizzi maschio e femmina capitolati giù per la gola in gola.
Ma agli altri nulla neanche un pezzettino del famoso cavallo tutto mio tutto mio lo dice il vulcano.
Giaguari sembrano materassi di collera compressa sulla tigrata e zebrata complessità respirante odorosa e pelosa della montagna il cui cuore speravamo capace
di un sentimento purificato da ogni sudore odore terrestre […]
Come possiamo vedere è troppo umano ormai il Vulcano per Marinetti, tutto intento com’è nella sua ricerca spirituale
È sadico e insaziabile ormai il Vulcano
E anche egoista
Insomma il Vulcano non ha un cuore «capace di un sentimento purificato da ogni sudore odore terrestre». Ma forse era solo il Vulcano, che aveva abitato in Marinetti per tutta la vita, a volersi spegnere. Per consentire al proprio figlio, con amore di padre, di volar via con Gesù.