Il fast fashion può spostarsi da una settimana all’altra offrendo nel più breve tempo possibile capi di abbigliamento ultra economici e trendy. A causa di questa natura fugace delle tendenze della moda, l’industria del fast fashion ha vissuto un boom.
Poiché la produzione è rapida e i prezzi sono mantenuti bassi, i rivenditori trasferiscono i risparmi utilizzando materiali economici, in genere sintetici come il poliestere. Il metodo consente ai marchi di lanciare nuovi assortimenti più volte a stagione, o anche settimanalmente, garantendo ai consumatori sempre l’accesso alle ultime tendenze. I consumatori vengono attirati davanti all’abbigliamento a basso prezzo, ma il vero costo è a carico del pianeta. I cicli di produzione del settore del fast fashion sono fissi e spesso piuttosto brevi. Richiedono la scelta dell’opzione materiale più conveniente, che si traduce in un aumento del consumo di acqua, rifiuti, emissioni di carbonio e altri impatti ambientali. Questi vestiti sono realizzati con fibre sintetiche, che contribuiscono all’inquinamento dovuto ai coloranti utilizzati per colorarli e, in ultima analisi, ai rifiuti che ne derivano.
La moda veloce ha un costo enorme per Madre Terra. Alcuni studi suggeriscono che ogni anno vengono realizzati 20 nuovi capi di abbigliamento per ogni persona e che oggi acquistiamo il 60% di vestiti in più rispetto all’inizio di questo millennio. Inoltre, indossiamo meno questi indumenti e li buttiamo via più velocemente, moltiplicando ulteriormente le emissioni derivanti dalla produzione.
E’ utile ricordare alcuni degli effetti peggiori di questa tendenza sul nostro ambiente
I tessili del fast fashion rappresentano il 10% delle emissioni globali di carbonio. Si stima che la produzione tessile generi 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, più dei voli industriali e delle spedizioni messe insieme. Ci sono una serie di fattori che contribuiscono, ma uno dei più importanti è il poliestere, un tessuto sintetico che dipende fortemente dal consumo di energia nel settore del fast fashion.
L’atteggiamento “usa e getta” nei confronti della moda e le nostre tonnellate di sovrapproduzione tessile stanno causando enormi livelli di rifiuti tessili. La produzione di abbigliamento a livello globale è raddoppiata negli ultimi 20 anni, eppure indossiamo ogni capo molto meno. Tanto che ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti di abbigliamento vengono gettati tra i rifiuti, finendo spesso in discarica.
La produzione tessile, soprattutto quella del cotone, è ad alta intensità idrica. Sono necessari circa 10.000 litri d’acqua per produrre un chilogrammo o una maglietta di cotone. A causa della domanda e del ritmo con cui viene prodotta, le risorse idriche globali sono sottoposte a un’enorme pressione (soprattutto quelle soggette a estrema scarsità d’acqua).
L’uso del poliestere. Si stima che la produzione di poliestere necessiti di 342 milioni di barili di petrolio all’anno. Tutti questi tessuti sintetici non possono né decadere né disintegrarsi e quindi rimangono nell’ambiente infondendo nel tempo un’enorme quantità di inquinamento. I materiali del fast fashion sono economici e i nostri vestiti si consumano più velocemente, costringendoci a comprarli più spesso, il che si aggiunge alle discariche.
Non dimentichiamo la desertificazione
La fast fashion, come tanti altri settori, ha contribuito alla deforestazione. Nel corso del tempo, con la crescita della domanda di fibre naturali come il cotone, ampie aree di terreno verranno sgombrate per aprire spazi per la coltivazione del cotone. Le foreste vengono abbattute per fare spazio al cotone, il che aumenta il degrado del suolo e la perdita di ecosistemi cruciali, aggiungendo un ulteriore livello di contributo al già preoccupante ambiente globale.
Quali soluzioni possibili?
Sarà difficile impedire al consumatore di non comperare abbigliamento a poco prezzo alimentando cosi la produzione un po’ come un cane che si morde la coda, perciò dovranno le stesse aziende del Fast Fashion che per restare sul mercato – che sta lentamente cambiando verso il rispetto dell’ambiente – ad adottare sistemi diversi, come ad esempio adottare materiali sostenibili. L’azione più sostenibile che i marchi del fast fashion possono intraprendere è passare a materiali più rispettosi dell’ambiente. Ad esempio: il cotone biologico richiede molta meno acqua e pesticidi rispetto al cotone convenzionale. Inoltre, i tessuti riciclati, come quelli realizzati con bottiglie di plastica post-consumo, possono ridurre l’uso di materiali vergini. Stiamo già assistendo a iniziative guidate da alcuni marchi come H&M che prevedono un uso visibile ma a basso impatto di materiali sostenibili (per non parlare dell’effettiva domanda del mercato per questa tracciabilità lungo tutta la catena di fornitura), ma manca ancora un cambiamento olistico all’interno del settore. Le aziende del fast fashion possono fare la loro parte nell’affrontare il problema dei rifiuti nel settore utilizzando pratiche di riduzione dei rifiuti. Ciò comporta la progettazione di abiti che durino, con materiali migliori, per ridurre il numero di indumenti acquistati dai consumatori e abbracciare modelli di economia circolare.
Tuttavia, un cambiamento diffuso richiede sia l’educazione dei consumatori che la partecipazione attiva ad abitudini di acquisto responsabili. Bene è il caso di cominciare…e se non si vuole rinunciare al prezzo contenuto c’è sempre il fascino del “Vintage”.
In copertina: «Orchestra di stracci» (1968), di Michelangelo Pistoletto